“Il sacrificio del cervo sacro”: un film di Yorgos Lanthimos

“Il sacrificio del cervo sacro” di Yorgos Lanthimos nel 2017 ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al festival del cinema di Cannes, ma non è piaciuto troppo ai critici.

A me invece questo thriller psicologico è piaciuto moltissimo, come d’altronde tutti i film precedenti del regista greco.

Il film prende spunto dalla tragedia del V secolo a.C. “Ifigenia in Aulide” di Euripide.

Non solo per il tema alla base della vicenda, il sacrificio di un figlio da parte del padre, ma anche per gli equivoci e l’ambiguità di fondo; per la chiarificazione di questi solo dalla metà dell’opera in poi; per il cambiamento di atteggiamento del “cervo”, che alla fine è consapevole del proprio destino e quasi sceglie di morire.

La critica ha additato questo film come “freddo e cinico”: ma tutti i lavori di Lanthimos lo sono. Anzi, questo approdo definitivo al pubblico di Hollywood mi sembra decisamente edulcorato rispetto ai lungometraggi degli esordi “Kinetta”, “Kynodontas” e “Alpeis”, girati in greco, ma anche rispetto al più recente “The Lobster”: film ben più angoscianti ed estranianti de “Il sacrificio del cervo sacro”.

Come in tutti i film di Lanthimos, dialoghi e situazioni in un primo momento lasciano lo spettatore basito e confuso.

Stavolta i dialoghi non sono assurdi e irreali come nei film precedenti, ma il crescendo iniziale di disagio e illogicità è disturbing come al solito.

Tutto inizialmente è perfetto ma ambiguo.

La tensione monta lentamente. Nulla è chiaro fino a quando, a metà film, la situazione degenera e arriva la rivelazione: da questo momento in poi i protagonisti crollano ma diventano più umani.

Mano a mano che la tragedia si manifesta, infatti, la famiglia protagonista della vicenda da apparentemente perfetta, ma fredda ed anaffettiva, si riscopre unita e “normale”.

In questo film d’altra parte non c’è posto per l’espiazione e la catarsi, bensì solo per la vendetta, per la legge del taglione. E per l’inevitabile e metaforico sacrificio del “cervo sacro”, obbligatorio al fine di ristabilire l’equilibrio.

Per la prima volta Lanthimos non ha scritturato i soliti attori feticcio che hanno recitato in molti dei suoi film, come Angeliki Papoulia e Ariane Labed.

Protagonista è Colin Farrell, come nel precedente “The Lobster”, primo film di Lanthimos girato in inglese e con attori hollywoodiani.

Stavolta l’attore irlandese interpreta Steven, un cardiochirurgo benestante dalla vita apparentemente invidiabile.

Nicole Kidman invece è immensa come sempre nel ruolo di Anna, moglie algida di Steven e madre ancora più algida di Kim e Bob.

Barry Keoghan è chiamato ad impersonificare Martin, ragazzo angosciante e fastidioso il cui ruolo incomprensibile si chiarisce solo in seguito.

Al di là della scelta sempre azzeccata per quanto riguarda gli attori, di Lanthimos amo l’immagine e la fotografia, che sono fedelmente crude, neutre, fredde e per questo eleganti.

I richiami ad altri celebri registi sono forse scontati ma evidentissimi.

Spesso Lanthimos viene accostato a colossi come Stanley Kubrick, Michael Haneke, Lars Von Trier.

Sicuramente Kubrick lo ha influenzato nell’utilizzo dei campi lunghi e delle inquadrature dall’alto.

Ne “Il sacrificio del cervo sacro” l’omaggio al grande regista statunitense è palese fin da subito: l’incipit del film indubbiamente ricorda quello di “2001: Odissea nello spazio”, con quasi un minuto di schermo nero, unico protagonista lo “Stabat Mater” di Franz Schubert.

E come non ripensare alla Nicole Kidman di “Eyes Wide Shut”?

Ad accomunare Yorgos Lanthimos all’austriaco Michael Haneke è invece il pessimismo di fondo, oltre ad un certo sadismo. Ma soprattutto un “autocompiacimento registico” che per me non ha un’accezione negativa.

Sembra che il giovane Barry Keoghan dopo aver girato questo film abbia dichiarato che in futuro non accetterà più ruoli da psicopatico.

Buon per lui. Io invece attendo con trepidazione il prossimo film di Lanthimos, “La favorita”, in anteprima mondiale tra una settimana alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

 

PS Le finestre della camera da letto della coppia Kidman/Farrell ricordano solo a me quelle della casa di Amityville Horror?

 

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