“La settima Musa”: l’ultimo film di Jaume Balagueró

Se da un film di Jaume Balagueró vi aspettate solo delle sequenze agghiaccianti e veloci come nei primi due “[Rec]”, il suo nuovo thriller, “La settima Musa”, non fa per voi.

L’ultima fatica del regista spagnolo in effetti ricorda molto di più alcuni dei suoi film degli esordi, come “Darkness” e “Nameless”, o il più recente “Bed time”.

Le nove divinità figlie del prolifico Zeus, più elevate ed importanti rispetto agli altri protagonisti della mitologia greca, ed inizialmente associate solo ad alcune branche dell’Arte, nel tempo hanno visto modificata la propria sfera d’azione, fino a proteggere ed ispirare ogni campo dello scibile umano.

Ma hanno continuato a chiamarsi Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania e “la più illustre di tutte” (ci assicura Esiodo), Calliope.

Nel romanzo su cui si basa il film di Balagueró, “La dama numero tredici” di José Carlos Somoza, le Muse sono – come svela il titolo – addirittura tredici.

Jaume Balagueró ne riduce il numero a sette: “La numero 1 invita, la numero 2 invoca, la numero 3 mente, la numero 4 punisce, la numero 5 predice, la numero 6 appassiona, la numero 7 cela”.

Le Muse di Balagueró (e prima ancora quelle di Somoza) infatti non sono semplicemente divinità ispiratrici degli artisti come nella mitologia greca, bensì vere e proprie streghe alla “Suspiria”: crudeli, vendicative e dedite a cruenti rituali esoterici, hanno poteri sovrannaturali e scrivono versi nella carne degli artisti che a loro si affidano. Sono Parche, che tessono e presiedono al destino dell’uomo.

Come capiremo alla fine del film, stavolta una di loro non ha rispettato le Regole e l’Equilibrio ne è risultato stravolto.

Dopo l’intreccio di corpi dissezionati, vasi sanguigni e scritte vergate col sangue in una sigla molto bella, che mi ha fatto venire in mente i cadaveri plastinati di Gunther von Hagens e gli opening credits della serie “Westworld”, conosciamo Samuel (l’attore Elliot Cowan), scrittore e professore di letteratura al Trinity College di Dublino.Samuel ha una relazione clandestina con una delle sue studentesse, Beatriz (Manuela Vellés), che inspiegabilmente si suicida.

Dopo un lungo e comprensibile periodo di crisi, Samuel inizia a fare dei terribili incubi, in cui una donna viene uccisa con un cruento rituale e all’interno di una grande dimora: perché per Balagueró le cose brutte accadono sempre nei luoghi chiusi e soprattutto nelle case.

L’incubo si rivelerà non tanto lo strascico del lutto che sta vivendo, quanto il fedele sogno premonitore di un assassinio realmente avvenuto, che anche Rachel (interpretata da Ana Ularu), una donna fino a quel momento sconosciuta a Samuel, ha fatto, e che porterà i due ad incontrarsi.

Samuel arriverà al finale (che proprio non mi aspettavo, in un film che per il resto non mi ha convinto al 100%) indagando sul White Ring, un gruppo di studiosi ossessionati dalle Muse (il cui unico superstite è il grande Christopher Lloyd, il Doc di “Ritorno al futuro”), ed incontrando le Muse stesse.Come anticipato, l’eleganza, l’atmosfera ed il ritmo lento sono gli stessi di film come “Darkness” e soprattutto “Nameless”.

L’esoterismo è alla base di tutta l’opera di Balagueró, ma quest’ultima fatica del regista spagnolo e i due film sopraccitati si somigliano parecchio soprattutto per la presenza di sette e rituali e per il verificarsi di un sacrificio, che puntualmente avviene in una grande dimora signorile. Ma anche per la fondamentale parte investigativa, volta a scoprire i come ed i perché degli eventi che si presentano, rimestando nel passato di cose e persone.

Se però “Darkness” è un film incalzante, inquietante e teso, “La settima Musa” è pacato quanto “Nameless”.

Più che la trama, che non convince troppo, del film colpiscono l’estetica, la lentezza, le musiche, i plumbei paesaggi irlandesi, la fotografia cupa.

La bellezza del film sta nelle continue citazioni poetiche e letterarie (John Milton, Dante…) e nell’orrore nascosto nelle parole scritte nella carne di chi si rivolge alle Muse. Nelle figure nere e velate di queste ultime. Nella potenza distruttiva dei versi declamati: nelle parole di molti poeti e scrittori, anche celebri, vi è forse nascosto qualcosa, che se recitato a voce alta può provocare eventi terribili?

Il film è più onirico e surreale che spaventoso (e rimanda inesorabilmente a molte opere di Guillermo del Toro), anche se qualche scena cruda c’è.

L’unica sequenza che mi abbia veramente inquietato ad esempio vede protagonista Franka Potente (chi se la ricorda in “Lola corre”?), che interpreta Susan, una studiosa collega ed amica di Samuel, che crede a quest’ultimo sin dall’inizio e lo aiuta nelle indagini sulle Muse e sul White Ring.

Parlando dei suoi progetti futuri, in una delle sue ultime interviste (qui il testo integrale) Balagueró ha affermato: -“Mi sto concentrando su qualcosa che mi inquieta e mi turba molto. Qualcosa che mi terrorizza davvero.”

Vedremo come tradurrà stavolta le proprie paure per il grande e piccolo schermo.

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