“Hereditary”: l’azzeccato esordio cinematografico di Ari Aster

“Hereditary”, il film di debutto di Ari Aster, è il lascito di grandi pellicole culto del passato, come “Rosemary’s baby” o “L’esorcista”, al cinema horror di oggi, che è tornato ad occuparsi più che mai di temi quali sette e satanismo, riti esoterici, spiritismo, maledizioni e possessioni.

Ma l’eredità che dà il titolo all’opera prima del regista statunitense è soprattutto quella – maligna e tragica – che grava sui protagonisti del film: i componenti della famiglia Graham.

Il film inizia con un necrologio e con il funerale di Ellen Taper Leigh, una donna che in vita sembra essere stata fredda e manipolatrice.

La sua morte si rivela tutt’altro che dolorosa per i familiari e soprattutto per sua figlia Annie (interpretata dall’attrice Toni Collette).

L’elaborazione del lutto in questa famiglia segue un iter tutto suo e la stessa Annie sembra provare un senso di liberazione in seguito alla morte della madre, anche se questo le provoca forti sensi di colpa.

Quando Annie, dopo il funerale, di nascosto dal marito partecipa ad una riunione in un gruppo di sostegno dedicato a chi ha perso i propri cari, abbiamo l’opportunità di conoscere la dura vita condotta dalla madre e la serie di disgrazie che l’hanno colpita nel corso degli anni.

Lo sfogo dura una manciata di minuti: di fronte ad un pubblico di autentici estranei, Annie vomita una terribile storia di malattia, anche mentale (ereditaria pure questa?), e di sventura, costellata di dinamiche familiari molto particolari e di traversie infinite.

Da questo momento in poi, sfortuna e disgrazie si abbatteranno anche sulla famiglia di Annie. E il motivo lo intuiremo nel corso del film, per averne la definitiva conferma nel finale spiazzante.

Ma nulla è banale né scontato, nel film d’esordio di Ari Aster.

Ciò che inizialmente sembra anormale, alla fine si rivelerà più normale di tutto il resto. E chi sembra essere il personaggio principale del film, ci abbandonerà troppo presto e in un modo davvero sconcertante.La famiglia di Annie vive in una grande e bella casa in mezzo ai boschi ed è composta da lei e suo marito, Steve Graham (il magnifico Gabriel Byrne), e dai due figli, Peter (interpretato da Alex Wolff) e la secondogenita Charlie (Milly Shapiro).

L’unica persona che sembra essere provata dalla morte della nonna è proprio la tredicenne Charlie, che poi scopriremo essere stata la nipote “preferita” della defunta Ellen.

Charlie è una bambina molto creativa: disegna parecchio ed assembla pupazzi con gli oggetti più disparati (non solo inanimati). In questo è simile alla madre Annie, che per vivere costruisce case ed ambienti in miniatura, diorami, plastici.

Peter è il classico adolescente che fuma droghe ed è invaghito della bella compagna di classe.

Al contrario della moglie, perennemente presa da tot lavori che non termina mai, Steve fa lo psichiatra ed è l’elemento solido della famiglia. Quello che al momento giusto interviene per mettere ordine e ristabilire l’equilibrio.

A parte i temi sopraccitati dello spiritismo e delle sette, in questo film infatti si ripresentano prepotentemente anche gli altri due argomenti che ultimamente sembrano ossessionare i registi horror: le difficilissime e a volte ambigue dinamiche familiari e quelle che da sempre sono le paure ancestrali dell’essere umano.

Le normali tensioni tra coniugi e le banali quanto dolorose incomprensioni e battaglie tra genitori e figli adolescenti, in alcune delle quali magari pensiamo di poterci riconoscere, forse nascondono altro?

Ari Aster ci mostra come spesso il dolore per la perdita di un caro (e non parlo della nonna, morta all’inizio del film) divida i familiari, invece di avvicinarli, e sfoci in inevitabili sensi di colpa. Invece di supportarsi a vicenda, tra parenti ci si rinfaccia cose, si rivanga in spiacevoli episodi del passato, si dà la colpa di quello che è successo agli altri, magari in modo indiretto.

Perdita e sacrificio e la conseguente ricompensa (in questo caso, anche economica) sono alla base della storia raccontata da Aster.

Ed è curioso che mi ritrovi a pensare al sacrificio di “Ifigenia in Aulide” a poco più di un mese dalla recensione de “Il sacrificio del cervo sacro” di Yorgos Lanthimos. D’altronde la tragedia di Euripide è addirittura citata nel corso del film di Ari Aster.

Come è facile intuire, il film è teso, psicologico, disturbante.

Ma non mancano immagini e sequenze esplicite: fantasmi ed apparizioni; sonnambulismo e sogni dentro sogni che sembrano reali; strani bagliori e sedute spiritiche; tombe profanate e cadaveri putrefatti; teste staccate e gente che levita, fluttua e striscia sui muri.

Gli scorci dell’interno dei modelli assemblati dalla protagonista mano a mano che il film prosegue si rivelano sempre più inquietanti e morbosi: invece di dedicarsi ai plastici che deve costruire per lavoro, Annie sembra essere interessata soprattutto a rappresentare diorami delle stanze della propria casa e momenti realmente vissuti da lei e dai suoi familiari (compresi eventi del passato che vedono protagonista la vecchia madre, negli anni in cui ha vissuto in un ospizio ma anche assieme alla famiglia Graham nella bella casa in mezzo ai boschi).

E’ difficile distinguere dove termini la superstizione e inizino l’isteria e il dolore.

Ma qua e là troviamo disseminati molti segnali di quello che sta accadendo e che scopriremo nello sconcertante finale. Alcuni visibilissimi a chi abbia un occhio attento, o a chi mastichi un po’ di esoterismo; altri evidenti solo ad una seconda e più consapevole visione del film.

Cosa nasconde ad esempio l’insolito simbolo che la nonna ed Annie portano come ciondolo appeso ad una catenina all’inizio del film, ma che poi ritroviamo in diversi altri luoghi, ad esempio a casa di Joan (l’attrice Ann Dowd: una donna che frequenta lo stesso gruppo di ascolto di Annie), nella soffitta di casa Graham o su un certo palo della luce che spezzerà la vita (e non solo) di uno dei protagonisti?

Quale peso bisogna dare alla lettera che Annie trova tra i libri appartenuti alla madre, all’inizio del film?

Perché Charlie è caduta fin da piccola nelle grinfie della nonna, mentre Annie è riuscita a tenere lontano dalla madre il primogenito, Peter?

Cosa sono le scritte sui muri nella cameretta di Charlie?

Il piccione a cui Charlie mozzerà la testa è un presagio di tutte le decapitazioni che seguiranno?

Cos’è quel grande triangolo a terra nella camera da letto che la nonna occupava quando viveva con la famiglia Graham?

Perché il fratello schizofrenico di Annie si è impiccato accusando la madre di “aver messo delle altre persone dentro di lui”?

A cosa assiste veramente Charlie quando intravede un falò nei prati vicino a casa?

La casetta sugli alberi in cui spesso si rifugia Charlie per dormire (e che in seguito diventerà rifugio della stessa Annie, quando le disgrazie inizieranno ad abbattersi anche sulla sua vita), è davvero solo una casetta sugli alberi?

Sembra che Annie inconsciamente sappia perfettamente cosa la aspetti e le motivazioni dietro a tutto questo dolore. Sembra che si sia tenuta lontana per anni dalla madre e dai misteri di questa, per poi ritrovarsi ad affrontare tutto d’un colpo il proprio inesorabile destino.

Gli ultimi dieci minuti del film sono ricchi di scene davvero disturbanti e terribili che mi hanno provocato una tachicardia di tutto rispetto. Sono proprio le scene di cui vorrei parlare maggiormente, ma non posso né voglio spoilerare nulla a chi non ha ancora visto il film.

Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, inquadrature e riprese sono a tratti davvero particolari: uno tra tutti, il “vizio” del regista di passare di colpo dal giorno alla notte in una sequenza, continuando ad inquadrare il soggetto (in questo caso, la casa tra i boschi).

Delle inquadrature all’interno dei diorami di Annie ho già parlato.

Ma già le prime sequenze del film sono intriganti: la macchina da presa inquadra la stanza in cui Annie lavora ai suoi plastici; poi si avvicina ad uno di questi, una casa, e si sofferma su una delle camere, coi propri personaggi all’interno; questa di colpo si rivela essere la vera camera da letto di Peter, con Steve che va a svegliarlo perché è ora di alzarsi.

La colonna sonora è inquietante a causa della musica, dei rumori, dei continui suoni isterici. Per non parlare dello schiocco che Charlie fa con la bocca, che ci accompagna per tutto il film… che lei sia presente o meno.

I richiami a grandi film del passato sono inevitabili: ho già accennato alle atmosfere e ai temi di un cult come “L’esorcista” di William Friedkin e soprattutto di quello che è uno dei miei horror preferiti di sempre, cioè “Rosemary’s baby” di Roman Polański. Ma è impossibile non pensare anche alla tensione, all’eleganza e alle tematiche occulte trasformate in immagini da Robert Eggers nel più recente “The witch” (anche questo, come il film di Aster, presentato per la prima volta al Sundance Film Festival).

Credo che Ari Aster abbia esordito davvero alla grande e sono ottimista per quanto riguarda il futuro, anche perché il regista statunitense afferma di aver attinto parecchio alla propria storia familiare per realizzare questo primo film.

Non posso che concludere raccomandandovi di tenere la testa sulle spalle. E di non abbandonare le difese nemmeno quando vi trovate al sicuro delle vostre case, perché soffitte e casette sugli alberi nascondono sempre cose parecchio interessanti.

2 thoughts on ““Hereditary”: l’azzeccato esordio cinematografico di Ari Aster

  1. il film scorre costantemente lento. A parte il finale, ma non svelo niente. Non è l’esasperante lentezza che prelude solitamente all’effetto “keppaùra!”. NO. E’ il lento costante scorrere vi permetterà di assaporare ogni singolo frammento di dialogo, di inquadratura, di suono, di rumore. Quando arriverà il momento in cui penserete di aver capito tutto, sappiate che qualche minuto dopo quella tensione che pensavate non ci fosse nel film e che invece si stava accumulando a vostra insaputa, vi esploderà letteralmente in faccia, senza preavviso. Non staccate mai gli occhi dallo schermo, altrimenti vi perderete…
    Se ne consiglia la visione in dvd per permettervi di fare, dopo o durante, stop rew play stop play rew ffw stop… Io di Sabrina mi sono fidato. Due ore spese mooooolto bene. Buona visione.

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