“L’altro posto”: l’ultimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, l’autore di “Lasciami entrare”

L’ultimo romanzo di John Ajvide Lindqvist, “L’altro posto”, non mi ha entusiasmato quanto i precedenti, anche se si tratta dell’opera più autobiografica partorita finora dallo scrittore svedese.

Il libro è comunque interessante, in quanto narra la sua genesi di autore horror e cosa ci sia dietro alla paura che descrive nelle proprie opere, come si siano originati i suoi personaggi, da dove nasca il terrore da cui è ossessionato.

D’altronde “scrivere del mostro è un modo per placarlo”, ci ricorda Lindqvist proprio in quest’ultimo romanzo.

“L’altro posto”, pubblicato in Italia da Marsilio Editori come i libri precedenti dell’autore di Stoccolma, oltre ad essere un’autobiografia, per certi versi è il sequel di “Musica dalla spiaggia del paradiso”, forse il romanzo che ha lasciato aperti più interrogativi tra quelli di Lindqvist.

Il libro però ci apre gli occhi anche su particolari incomprensibili e irrisolti delle altre opere dello scrittore.

Nei suoi lavori precedenti, Lindqvist ha affrontato ogni sfaccettatura dell’horror e ha sfidato tutti i cliché di questo genere letterario, anche se lo ha fatto in modo decisamente originale.

Ed è anche per questo che spesso John Ajvide Lindqvist è stato definito “lo Stephen King scandinavo”: i suoi romanzi e racconti non possono essere circoscritti all’interno dei confini di un genere ben definito, perché spesso sono basati su un intreccio di circostanze sia fantastiche che realistiche, costruite su un substrato certamente horror, ma spesso surreale, onirico, intimista.

Nel suo primo romanzo, “Lasciami entrare”, che rimane l’opera più famosa ed acclamata dello scrittore svedese, si parla di vampiri.

“Lasciami entrare” (di cui esistono anche due adattamenti cinematografici) è la storia di un ragazzino inizialmente debole, vittima del bullismo dei compagni di classe e di una situazione familiare non facile. Ma parla anche di un gruppo di simpatici alcolizzati della periferia di Stoccolma e della periferia di Stoccolma stessa, così complicata e piena di contraddizioni. Ancora, è la storia di un amore bellissimo e dell’incontro di due creature sfortunate, che insieme diventano invincibili e conoscono la felicità.

Come ha detto lo stesso Lindqvist in un’intervista di qualche anno fa, “il romanzo parla anche d’amore, il titolo può anche essere letto come una raccomandazione: tieni aperta la porta. Lascia entrare l’amore o la distruzione. Ma lascia che accada. Adesso”.

Nel suo secondo romanzo (che a me è piaciuto addirittura più del primo), “L’estate dei morti viventi”, i protagonisti sono degli zombie, che però non si rivelano aggressivi e sanguinari come li abbiamo (quasi) sempre conosciuti nei libri e nei film.

Il romanzo si sofferma sugli aspetti pratici di un eventuale ritorno alla vita dei defunti, ma soprattutto sulle emozioni e sulle reazioni contrastanti di chi li ha conosciuti in vita e ha voluto loro bene e adesso se li ritrova nuovamente in casa, magari in via di decomposizione e in ogni caso non vigili e reattivi come quando erano vivi: nessuno vuole vedere morire i propri cari, ma se questi tornano si comprende come non basti un corpo a restituirci una persona che abbiamo amato.

La bravura e l’originalità di Lindqvist in questi suoi primi due romanzi sicuramente sta nell’aver saputo immaginare come si comporterebbero vampiri e morti viventi all’interno della società di oggi e come gli essere umani si confronterebbero con loro.

“Il porto degli spiriti”, forse il mio libro preferito di Lindqvist, parla di fantasmi, di miti e culti del mare e segna una svolta nella sua opera.

Dopo un inizio di carriera votato a due “mostri” tipici del genere horror, vampiri e zombie, per la prima volta Lindqvist sperimenta sul serio quello che è il filone che poi continuerà a scandagliare nei suoi lavori successivi: un continuo intreccio tra realtà e mondo onirico, presente e passato.

Quella che all’inizio sembra una triste ma realistica storia di orrore quotidiano, diventa un’esperienza soprannaturale, un incontro con gli arcani e atavici riti della isolata comunità della piccola isola svedese in cui è ambientato il grosso della vicenda.

E la ricerca spasmodica della verità, il non arrendersi di fronte ai veri dolori che ci riserva la vita, fanno sì che la speranza possa essere così forte da divenire realtà.

“Muri di carta” è un’antologia di racconti, alcuni dei quali svelano cosa sia successo dopo ai protagonisti di “Lasciami entrare” e de “L’estate dei morti viventi”.

“Una piccola stella” invece è un feroce attacco alla società svedese (e non solo) di oggi, nonché una satira dell’industria musicale e dei talent show di musica pop, che sfruttano le capacità di sprovvedute ragazzine.

L’orrore in questo caso è dettato dalla violenza innocente di Theres, ma soprattutto dalla crudeltà del branco, dalla superficialità delle nuove generazioni, dal duro incontro/scontro tra la gioventù e la morte e tra l’ingenuità dei ragazzi e l’amara esperienza del mondo adulto.

L’amicizia tra due ragazzine, Teresa e Theres, dai nomi non a caso simili, non mitiga, ma al contrario accentua la psicosi della prima e i poteri paranormali della seconda.

“Musica dalla spiaggia del paradiso” è infine un’indagine interiore, ma anche un viaggio in un’altra dimensione, nel dolore nostro e di altri; è agorafobia che diventa claustrofobia; è un atterraggio in un prato senza confini, ma anche nella psiche umana. E’ totale senso di straniamento. E’ pura paura del nulla, dell’ignoto e dell’incomprensibile, fin dalle prime pagine.

In un continuo passaggio tra dimensione onirica e realtà, ci si ritrova ad affrontare i propri fantasmi (del presente, ma soprattutto del passato) e anche quelli delle persone che si hanno intorno.

Grazie a “L’altro posto”, ora comprendiamo quanto tutti questi romanzi e racconti attingano profondamente da avvenimenti ed emozioni del passato dell’autore scandinavo.

“L’altro posto” è dichiaratamente un’autobiografia, che racconta i sei mesi in cui Lindqvist ha deciso di mettere da parte una promettente carriera da mago per diventare uno scrittore di racconti dell’orrore.

La vicenda che narra è condita da una massiccia dose di surrealismo: a tratti non si comprende dove inizi la fantasia e dove venga meno la realtà del passato dello scrittore. E Lindqvist – dopo averci parlato, nelle opere precedenti, di vampiri, zombie, spiriti e così via – stavolta trasforma addirittura il racconto di alcuni mesi della propria vita in un romanzo horror.

Il libro è ambientato a cavallo tra il 1985 e il 1986 e ci fa conoscere un John diciannovenne e non ancora scrittore, che abbandona il quartiere periferico dell’infanzia, Blackeberg, dove vive con la madre, per andare a stare da solo nel centro di Stoccolma.

John prende in affitto un monolocale vicino al celebre tunnel di Brunkeberg. Per la precisione, una casetta nel cortile di un condominio, non abitabile e concessa in affitto senza un regolare contratto.

Più che altro si tratta di una stanza spoglia e fatiscente dove a stento filtra la luce. Pochi metri quadrati nel cortile di un condominio che da subito si rivela abitato da personaggi quantomeno bizzarri: risulta davvero impossibile non pensare ai condomini di “Rosemary’s baby” di Ira Levin o a quelli di “High rise” di J.G. Ballard, nonché alle indimenticabili trasposizioni cinematografiche di questi due romanzi, ad opera rispettivamente di Roman Polański e Ben Wheatley.

I muri dell’edificio risultano confinanti proprio con la roccia in cui è stato scavato il tunnel di Brunkeberg, una delle attrazioni della capitale svedese.

Sul telefono del piccolo appartamento di John arrivano fin da subito misteriose telefonate. Gli strani vicini sembrano uniti da segreti inconfessabili, ma indecisi se rendere John partecipe o meno del motivo dei loro misteriori convegni nelle stanze della lavanderia comune.

Dai muri confinanti col tunnel provengono voci e musica e la lavanderia sembra più il luogo di ritrovo di una setta composta dai vicini di John, che il locale in cui questi si recano semplicemente a fare le lavatrici o la doccia.

Per pagare l’affitto (e certamente perché il proprio sogno si avveri), John fa il mago.

Nel monolocale si esercita nei suoi numeri di micromagia e di illusionismo. Sempre con minore entusiasmo, in realtà, perché – a forza di spiare lo strano comportamento dei vicini e l’incessante viavai nei locali della lavanderia e della doccia, dall’altra parte del cortile – John viene travolto da una serie di eventi più o meno bizzarri.

Invece di concentrarsi sulla preparazione dei trucchi, John inizia a scrivere un racconto autobiografico, che poi si dipanerà lungo tutto il romanzo: il racconto del bambino nel bosco. Un’inquietante narrazione di ricordi – più o meno reali – di qualcosa accaduto a John molti anni prima: la storia di un ragazzino e di un bambino (che significativamente rimangono senza nome), di un poliziotto e di una capanna su un albero del boschetto vicino alle case di Blackeberg, ma soprattutto di un nodo irrisolto del passato che a diciannove anni John si decide finalmente ad affrontare.

Come ci confessa lo stesso Lindqvist ne “L’altro posto”, “la mia carriera di scrittore horror si basa su due spazi: la capanna nel bosco e la stanza della doccia”.

John non disdegna furti e furtarelli fin da quando era bambino, ma stavolta viene scoperto e finisce in prigione: in questo modo salta la partecipazione ad un importante concorso per maghi che avrebbe potuto cambiargli la vita. La sua carriera di illusionista va in fumo anche perché – non troppo metaforicamente – un giorno John ha perso un treno, in quanto è stato trattenuto in carcere.

Il ragazzo non ne esce sconvolto come avremmo potuto immaginare, perché ormai è distratto da ben altro.

John infatti inizia a frequentare la lavanderia in fondo al cortile e ben presto non può più farne a meno.

In quelle stanze accade davvero qualcosa di strano.

Una misteriosa gelatina nera sgocciola dal soffitto della stanza da bagno dei locali della lavanderia a disposizione di tutto il condominio (richiamando l’inquietante muco nero che cola dal naso del bambino del racconto che John sta scrivendo).

La strana sostanza si rivelerà addirittura il portale per un’altra dimensione, la stessa di “Musica dalla spiaggia del paradiso”.

In questo ”altro posto” John riscopre il prato visitato quando aveva dodici anni e di cui ha parlato nel racconto del bambino sull’albero. Lo strano prato che dà forma a molteplici personaggi ne “Musica dalla spiaggia del paradiso” e che porta alla luce il vero aspetto di chiunque lo calpesti, ora lo fa con John e i suoi vicini di casa.

“Il mostro abitava ancora nel mio corpo, dovevo imparare a gestirlo”: istinti omicidi e una malsana voglia di fare cose orribili sono il risultato delle ore passate nell’”altro posto”.

E’ anche grazie a questi viaggi nell’altra dimensione, infatti, che i mesi trascorsi nel monolocale di Luntmakargatan si riveleranno decisivi per il futuro di John: egli conoscerà più intimamente i suoi vicini di casa, nonché compagni di “viaggio”, i loro problemi, le loro passioni (più o meno inconfessabili), i loro drammi personali.

La sua vita prenderà una svolta assolutamente inattesa, quella della Scrittura.

Perché nell’”altro posto” ognuno si rivela per quello che è davvero e i suoi lati più reconditi, cattivi ed inconfessabili vengono alla luce. Nell’”altro posto” ognuno può essere diverso, quindi davvero se stesso.

Forse su quel prato ognuno può essere felice. Pagando un pegno di sangue… e non solo.

Come già anticipato, “L’altro posto” si pone come il sequel dell’opera precedente di Lindqvist, “Musica dalla spiaggia del paradiso”. Nell’ultimo lavoro dello scrittore svedese in effetti ritroviamo il misterioso prato innaturalmente verde ed infinito (o quasi), lo stesso cielo blu dell’ambientazione del romanzo precedente.

Scopriamo di chi erano anello e otturazioni d’oro trovate a terra dai protagonisti di “Musica dalla spiaggia del paradiso”. Ritroviamo il simbolo della croce in un taglio sul braccio di John (anche lui è “segnato” come i protagonisti di “Musica dalla spiaggia del paradiso”), le forme bianche senza lineamenti che assumono sembianze di volta in volta diverse, la roulotte uovo e così via.

Capiamo origine e significato della pioggia acida, ma anche del fumo rosso che esce dai corpi di un altro romanzo di Lindqvist, “Una piccola stella”.

Stoccolma e dintorni, ma soprattutto il quartiere di Blackeberg e le sue vicinanze, sono l’ambientazione dei romanzi e racconti dello scrittore svedese, a cominciare dal suo primo e più famoso libro, “Lasciami entrare”, che – dopo aver letto “L’altro posto” – scopriamo aver descritto lungamente l’infanzia dello stesso John. Il bambino protagonista del romanzo, Oskar, è ovviamente John da piccolo.

La casa, la cantina, la cameretta di Oskar del libro sono quelle dell’infanzia di John a Blackeberg: lo scrittore in “Lasciami entrare”, come nel racconto del bambino nel bosco di “L’altro posto”, descrive gli anni vissuti con la madre, in seguito alla separazione dei genitori.

Il cortile con i giochi in cui Oskar incontra Eli, i furtarelli nei negozi, gli episodi di bullismo ad opera dei compagni di scuola sono semplicemente i ricordi di un John bambino.

La scuola di Blackeberg è proprio quella che ha frequentato John.

Anche i ricordi della mamma che va a lavorare e del bambino che rimane a casa con la febbre riguardano il piccolo Oskar, ma anche il piccolo John.

Ma John è anche Eli e il mostro de “L’altro posto”. E il fumo rosso che esce dal suo corpo, i ganci ai polpastrelli del mostro sono quelli di “Una piccola stella” e de “L’estate dei morti viventi”.

Tutte le opere di Lindqvist improvvisamente risultano intrecciate tra loro più di quanto avessimo mai pensato: John, che ne “L’altro posto” perde sangue dal naso e utilizza delle palline di carta per arginare le crisi di epistassi, lo abbiamo già conosciuto in “Lasciami entrare” (dove a doversi confrontare con questo spiacevole contrattempo è Oskar) e in “Musica dalla spiaggia del paradiso” (qui è Isabelle ad avere questo disturbo).

Ne “Il porto degli spiriti” il vecchio Simon è guarda caso un ex mago.

Il ronzio dovuto alla pressione che i protagonisti de “L’altro posto” avvertono, ricorda molto quello de “L’estate dei morti viventi”.

Come ho specificato fin da subito, “L’altro posto” mi è piaciuto meno dei libri precedenti.

Anche lo stile mi sembra diverso rispetto ai lavori del passato, ma questo certamente dipende anche dal fatto che il romanzo sia stato concepito come un’autobiografia.

Lo spaccato sociale della Svezia descritta ai lettori è più crudo del solito.

Lo sgretolarsi delle certezze di Lindqvist nei mesi vissuti nel monolocale ha a che fare – tra le altre cose – con l’improbabile amicizia con uno skinhead e si intreccia col venir meno del sogno di molti svedesi, a causa dell’omicidio di Olof Palme (a tutt’oggi un caso irrisolto), leader del partito socialdemocratico e all’epoca primo ministro della Svezia: una vera e propria icona, ancora oggi, per gli svedesi e per lo stesso Lindqvist, che lo cita spesso nelle proprie opere. Olof Palme, uno dei protagonisti più o meno consapevoli di questa storia, guarda caso è stato ucciso proprio vicino al Tunnel di Brunkeberg accanto al quale vive Lindqvist nel romanzo e una targa (anch’essa spesso citata nei lavori di Lindqvist) oggi testimonia quel fatto di sangue.

Una peculiarità di Lindqvist che invece ritroviamo puntuale anche nel suo ultimo romanzo è la centralità della musica nella sua opera: canzoni e testi sono continuamente citati in romanzi e racconti e scandiscono il ritmo delle vicende mano a mano narrate. E’ un protagonista a sé stante l’amore per gli Smiths dei fantasmi adolescenti di Henrik e Björn ne “Il porto degli spiriti”, così come lo è la celebrazione della tradizione cantautoriale svedese degli anni Sessanta e Settanta in “Musica dalla spiaggia del paradiso”.

Ne “L’altro posto”, nello specifico, il John diciannovenne ascolta di continuo alcuni brani dei Depeche Mode.

Nei suoi primi romanzi John Ajvide Lindqvist ha descritto l’horror nei suoi lati più tradizionali; in seguito, da “Il porto degli spiriti” in poi, si è dedicato maggiormente al non-detto, che, se possibile, può essere addirittura più spaventoso e terrificante dei cosiddetti ”mostri”.

Di “L’altro posto” mi lascia comunque perplessa soprattutto la percezione di come Lindqvist nelle sue pagine abbia tirato un po’ le somme di tutto il suo lavoro e della sua intera vita: se in questo romanzo ha deciso di svelarci come e perché sia diventato uno scrittore horror e da dove derivino tutte le sue immagini più caratteristiche, di cosa scriverà la prossima volta, soprattutto in vista di un eventuale terzo capitolo di quella che parrebbe essere una trilogia, iniziata con “Musica dalla spiaggia del paradiso”? Cosa ci racconterà John, adesso che ci ha “spoilerato” ogni cosa?

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