“Suspiria”: il film di Luca Guadagnino omaggio al cult di Dario Argento

“Suspiria”, il nuovo film del regista, produttore e sceneggiatore italiano Luca Guadagnino, presentato in concorso alla 75a Mostra del Cinema di Venezia, è ovviamente un omaggio e una rilettura personale dell’omonimo lungometraggio di Dario Argento del 1977.

Attuare un confronto col capolavoro di Dario Argento è insensato e inutile, dato che Guadagnino non ne ha realizzato un semplice remake. E proprio per questo il film mi è piaciuto: le similitudini col film cult di Dario Argento sono tante, ma le differenze sono infinitamente più numerose.

E’ la stessa (divina) Tilda Swinton, una delle protagoniste del “Suspiria” di Guadagnino (come di molte altre sue opere), nonché sua amica e musa da anni, a definire il film del 2018 una “cover”, piuttosto che un remake. “Come è evidente nella musica, le cover spesso hanno un suono molto diverso dalla canzone originale”.

Sembra che Luca Guadagnino avesse in mente questo film da decenni: per la precisione, da quando, a dieci anni, ha visto per la prima volta la locandina del “Suspiria” di Dario Argento ed in seguito il vero e proprio film.

Se il confronto tra i due “Suspiria” è improponibile, trovo invece doveroso citare il libro del 1845 da cui la “Trilogia delle Tre Madri” di Dario Argento (che inizia per l’appunto con “Suspiria”) e il nuovo film di Luca Guadagnino prendono spunto, “Suspiria de Profundis” di Thomas de Quincey (seguito del più celebre “Le confessioni di un mangiatore d’oppio”).

Il tre è un numero magico e perfetto. E “La terza Madre”, l’ultimo capitolo della trilogia di Dario Argento, ci rammenta che tre sono le Parche, tre le Furie, tre le Grazie. Tre in origine sono anche le Muse. Ma per Thomas de Quincey esistono anche tre Dolori.

Nell’ultimo capitolo dell’opera del giornalista e scrittore inglese compaiono infatti le Tre Madri, “Nostre Signore del Dolore”: Mater Lacrimarum, “Nostra Signora delle Lacrime”, la maggiore, personificazione della disperazione; Mater Suspiriorum, “Nostra Signora dei Sospiri”, simbolo dello sconforto e di chi accetta il proprio destino senza reagire e ribellarsi; Mater Tenebrarum, “Nostra Signora delle Tenebre”, la più giovane, emblema dell’omicidio, della pazzia e della morte.

Dario Argento nel 1977 riprende quindi le tre Matres del libro di Thomas de Quincey, ampliandone il concetto e ponendo le basi di quella che sarà la “Trilogia delle Tre Madri”, che esordisce con “Suspiria” (che si occupa di Mater Suspiriorum), prosegue con “Inferno” nel 1980 (in cui appare Mater Tenebrarum) e si conclude con “La terza Madre” nel 2007 (incentrato su Mater Lacrimarum).

Le Tre Madri altro non sono che streghe antiche e perfide che nei secoli hanno accumulato ricchezza e che con i propri poteri possono influire su ciò che accade nel mondo.

Grazie al secondo film della trilogia di Dario Argento, “Inferno”, sappiamo che le Tre Madri hanno delle dimore, situate a Friburgo, Roma e New York, ed è lo stesso architetto e alchimista che ha ideato e costruito questi palazzi, Varelli, a dirci che le tre streghe “dominano il mondo col dolore, con le lacrime e con le tenebre. Mater Suspiriorum, Madre dei Sospiri, la più anziana delle tre, abita a Friburgo; Mater Lacrimarum, Madre delle Lacrime, la più bella, governa a Roma; Mater Tenebrarum, la più giovane e la più crudele, impera su New York”.

Ma veniamo alla Mater di cui si occupano sia il “Suspiria” di Dario Argento che quello di Luca Guadagnino, cioè Mater Suspiriorum, colei che per Thomas de Quincey “non piange, non geme. Ma sospira impercettibilmente a intervalli” e “non grida mai, non sfida mai, non sogna aspirazioni ribelli. È umile fino all’abiezione. La sua è la sottomissione di chi non spera. Può mormorare, ma solo in sogno. Può sussurrare, ma solo tra sé nella penombra”.

Come ho già sottolineato, nei due “Suspiria” similitudini e differenze si alternano. Per quanto riguarda le similitudini, però, parlerei piuttosto di “omaggi” a Dario Argento, al suo “Suspiria” e alla sua carriera in generale.

La pioggia torrenziale del nuovo film ad esempio richiama sicuramente quella del “Suspiria” del 1977, ma anche degli altri due film della “Trilogia delle Tre Madri”: dove albergano le tre streghe, acquazzoni e nubifragi si sprecano.

I più attenti noteranno pure come nel nuovo “Suspiria” il nome di una delle sale in cui si tengono le lezioni di danza, la Sala Iris, rimandi al meccanismo che nel film di Argento permette di accedere alle zone segrete della scuola, cuore della congrega. Stanze segrete che esistono anche nel nuovo lungometraggio, per trovare le quali si contano i passi, come nel film del 1977.

Nel film di Guadagnino salta subito all’occhio e alle orecchie anche come i nomi della maggior parte delle protagoniste siano gli stessi del film del 1977, o comunque molto simili: Susie, Patricia, Sara e Olga, per citare le allieve della scuola di danza; Madame Blanc, Miss Tanner, Helena Markos, per citarne le maestre.

Se il “Suspiria” di Dario Argento però è ambientato a Friburgo, nella Foresta Nera, Guadagnino mette in chiaro fin dall’inizio che ci troviamo in una città differente: il suo lungometraggio infatti è costruito su “Sei atti e un epilogo ambientati nella Berlino divisa”, come recita una grafica molto particolare che ci accompagnerà lungo tutto il film, scandendo per l’appunto le sette (altro numero magico) sezioni della vicenda.

Un altro omaggio è evidente nel titolo dell’Atto 1, “1977”, l’anno in cui si svolge la storia di Guadagnino, guarda caso lo stesso in cui è uscito nelle sale il “Suspiria” di Dario Argento.

Guadagnino non lascia nulla al caso e la scelta di ambientare la vicenda principale a Berlino – come vedremo tra poco – non è fortuita, bensì legata al contesto storico e politico analizzato dal regista palermitano, così fondamentale per comprendere appieno questa sua opera.

A grandi linee la trama del lungo film di Luca Guadagnino è la stessa di quello di Dario Argento: una ragazza americana arriva in Germania per studiare in una importante scuola di danza, ma si trova ben presto ad affrontare una vera e propria congrega di streghe, composta dalle insegnanti della scuola stessa.

Se però il film di Argento è soprattutto una meravigliosa storia horror di danza e streghe, quello di Guadagnino è anche un affresco storico e politico della Germania divisa; della Guerra Fredda e della “cortina di ferro”; della divisione territoriale, ideologica, economica e sociale tra il blocco occidentale e quello orientale; della Berlino dei punk, attraversata dal Muro; dell’Autunno Tedesco e dei vari attentati terroristici della RAF; dei dolorosi strascichi dell’Olocausto nazista.

La storia della talentuosa ballerina Susie (interpretata da Dakota Johnson) e delle allieve e insegnanti della prestigiosa scuola di danza berlinese, infatti, si intreccia sin dall’inizio e per tutto il film col contesto sociale e politico in cui le donne vivono, oltre che con le notizie che giungono da radio e tv sul dirottamento dell’ottobre del 1977 del Boeing 737 della Lufthansa ad opera di alcuni guerriglieri palestinesi alleati della RAF (Rote Armee Fraktion), nota anche come “Banda Baader-Meinhof”, un violento gruppo terroristico di estrema sinistra attivo in Germania nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale.

Patricia (la giovane attrice Chloë Grace Moretz), una delle ballerine della scuola, tra l’altro è chiaramente vicina alle idee della RAF e il film inizia proprio presentandoci lei e l’atmosfera violenta di quei giorni.

Un altro personaggio che conosciamo fin dalle prime sequenze è l’anziano psicoterapeuta che da tempo segue Patricia, il dottor Jozef Klemperer (interpretato da Lutz Ebersdorf… svelerò poi di chi si tratti in realtà), che nel film introduce due temi fondamentali: quello degli strascichi del nazismo e dell’Olocausto, ovviamente ancora freschissimi qualche decennio dopo la fine della seconda guerra mondiale, e quello della Berlino divisa tra blocco occidentale e blocco orientale.

Klemperer infatti vive e lavora a Berlino Ovest, ma passa spesso a Berlino Est per raggiungere la sua dacia di campagna, dove si rilassa e si lascia andare ai ricordi di quando viveva lì con l’adorata moglie Anke (interpretata nientemeno che dalla protagonista del “Suspiria” di Dario Argento, Jessica Harper), di origini ebree, scomparsa nel nulla durante la seconda guerra mondiale. Klemperer vive nel rimorso di non aver fatto abbastanza per salvare o ritrovare la moglie e quando trascorre qualche ora nella dacia le parla come se fosse ancora viva.

Il passato della protagonista, Susie, è un’altra delle colonne portanti del film di Guadagnino e ricordi e feedback dell’nfanzia e dell’adolescenza della ragazza nell’Ohio si intrecciano di continuo con ciò che accade nel 1977 a Berlino nella scuola di danza. Ulteriori temi sviluppati da Luca Guadagnino sono infatti quelli della femminilità e della maternità (non solo riferita alle Tre Madri), del senso di colpa e della religiosità più estrema, come quella della chiesa anabattista dei mennoniti (comunità simile a quella degli amish), da cui proviene Susie.

Questo intrecciarsi di storie parallele (non necessariamente da un punto di vista temporale) si svolge senza distogliere lo spettatore dalla vicenda principale.

Che per l’appunto è quella di Susie che realizza il proprio sogno di lasciare la severa comunità anabattista dei mennoniti in cui è nata, per andare dall’altra parte del mondo, raggiungere Berlino ed entrare nella prestigiosa compagnia The Markos Dance Company, in cui insegna il suo mito, la coreografa Madame Blanc (la semplicemente perfetta Tilda Swinton). Già da piccola Susie è scappata di casa più volte per andare a vedere lo spettacolo di Madame Blanc, “Volk”, a New York, ed è stata puntualmente punita per questo.

A guidarci verso il finale sconcertante sono un crescendo di lezioni di danza e balletti, la sparizione di alcune allieve della scuola e la sempre maggiore consapevolezza in alcune delle ragazze sopravvissute e nello psicoterapeuta Klemperer (coinvolto suo malgrado da Patricia) di cosa accada in realtà all’interno della compagnia di ballo.

Non parlerò dettagliatamente della trama del film di Guadagnino, anche perché sarebbe impossibile, tanto è complicata e variegata, ma consiglio comunque di passare oltre a chi non ha ancora visto il film e vuole evitare spoilers.

La scuola di danza di Guadagnino (come quella di Argento) è una vera e propria congrega di streghe, ma è anche un’organizzazione in difficoltà, con una leader molto malata, Helena Markos, che in passato si è autoproclamata una delle Tre Madri del mito (“senza un tempo preciso, prima di qualsiasi invenzione cristiana, prima di dio, prima del demonio”) e che si fa chiamare per l’appunto “Madre”. Tra le streghe della congrega berlinese però c’è disaccordo e la scuola di danza è divisa in due fazioni: una è fedele a Helena Markos, l’altra a Madame Blanc.

Recentemente, in seguito a delle votazioni, Helena Markos è stata riconfermata a capo della congrega. Ma il suo corpo ormai è una “prigione” e affinché la compagnia di ballo non muoia, una ragazza deve essere preparata (proprio da Madame Blanc) ed in seguito sacrificata in un rito mirato a restituire l’energia vitale a Helena Markos.

La ragazza prescelta inizialmente è Patricia, che si rivela però una “stupida” che preferisce “far saltare in aria i negozi”, fare politica, piuttosto che essere un “tramite” per le streghe, che vorrebbero infonderle il proprio potere. Patricia infatti ha scoperto la verità e come le streghe vogliano sacrificarla nel rito e si sente “maledetta”, quindi fugge.

Per le insegnanti è “andata”, quindi bisogna individuare una nuova ragazza per il rito: Sara (l’attrice Mia Goth) è la nuova prescelta. Ma stavolta “dobbiamo essere sicure che il rito funzioni”, sottolinea Madame Blanc.

Alla fine le attenzioni di Helena Markos e delle altre streghe si concentreranno su Susie, sul suo talento naturale e sulla sua energia. Ma Susie ne uscirà trionfante, anche se in un modo decisamente diverso rispetto alla protagonista del film del 1977.

Uno degli aspetti su cui si basa il film di Luca Guadagnino è il rapporto tra Susie e Madame Blanc.

Madame Blanc, splendidamente interpretata da Tilda Swinton, appare eterea e distaccata.

In realtà Madame Blanc è adorata dalle allieve, perché si prende cura di loro: prima di ogni lezione l’insegnante cinge le ragazze in un abbraccio e le bacia una ad una.

Viva Blanc d’altronde è un’eroina carismatica che in passato ha salvato la compagnia addirittura dalle grinfie del Reich, che avrebbe voluto solo delle “donne con la bocca chiusa e l’utero aperto”.

La potente coreografa a capo della scuola di danza assieme alle altre insegnanti in realtà controlla e manipola le allieve sia fisicamente che psicologicamente.

Ma Viva Blanc è anche un personaggio positivo, una donna tormentata che vive un profondo conflitto (a differenza della Blanche di Argento, decisa e forte): è infatti combattuta tra il compito importante che deve portare a termine (la preparazione della ragazza per il rito che dovrà far risorgere Helena Markos) e l’affetto che prova per Susie fin dalla prima volta in cui l’ha vista danzare.

D’altro canto Susie vuole fare del suo meglio per compiacere Madame Blanc, suo mito da sempre, e accetta il proprio destino. Chi non lo fa (Patricia, Olga, Sara) tra l’altro muore o quasi, violentata nella propria fisicità, e ne esce col corpo piegato, deformato, distrutto.

La stessa Susie in ogni caso rimane un personaggio positivo e lo scopriremo proprio nel finale del film, quando cancellerà dalla mente di Klemperer i ricordi relativi agli ultimi giorni e racconterà all’anziano dottore la verità sul destino della moglie e sui suoi ultimi istanti di vita.

Se Viva Blanc si interessa al passato di Susie nella comunità mennonita, Susie non nasconde la propria ammirazione per la maestra, che venera da sempre.

Susie è diversa dalle altre allieve, anche da quelle scelte in precedenza per il rito: se non fosse per il resto della congrega, e soprattutto perché la stessa “Madre”, Helena Markos, vuole Susie, Madame Blanc salverebbe la ragazza. “Non vuoi fare una scelta perché mi vuoi bene”, dirà Susie alla propria insegnante.

La costante tensione sessuale tra Madame Blanc e Susie accompagna la trasformazione di Susie da timida e sprovveduta ragazza della chiesa mennonita, che arriva a Berlino dalle campagne dell’Ohio coi vestiti informi e gli zoccoli, in una sensuale e provocante donna, consapevole della propria sessualità e del proprio corpo… come una vera strega deve essere.

La maturazione di Susie traspare mentre danza e giunge al culmine nelle sequenze in cui – ormai pienamente consapevole del ruolo che deve ricoprire – si denuda e – attirata da una luce che già le era apparsa nei sogni indotti da Madame Blanc e dalla congrega – arriva nei sotterranei e nella parte segreta dell’edificio, dove le altre la attendono per il rito volto alla rigenerazione di Helena Markos.

La sensualità di Dakota Johnson nelle sequenze del sabba finale tra l’altro mi ha fatto ricredere sulla bravura di questa attrice, che non avevo mai preso troppo sul serio fino a questa sua interpretazione in “Suspiria”.

Il film di Luca Guadagnino è parecchio incentrato sulla fisicità della danza, a differenza di quello di Dario Argento: ed era ora che un film sulle streghe si occupasse di questo fondamentale aspetto del sabba e in generale delle cerimonie tribali o propiziatorie.

La centralità del rapporto tra corpo, ballo e stregoneria nel nuovo film fa sì che il regista palermitano ci proponga una danza più moderna e contemporanea rispetto al balletto classico scelto da Argento.

Susie non ha esperienza, ma ha un talento naturale ed è questo che le streghe notano, sentono, fin dalla sua prima audizione: quando la ragazza americana danza, ogni volta sembra richiamare tutte, allieve e streghe/maestre, Madame Blanc in primis. Susie diventa un tutt’uno con le altre, soprattutto con le streghe della congrega: è parte di un tutto femminino, matriarcale e che basta a se stesso.

Susie quando balla diviene un prolungamento della congrega, un suo arto, una vera e propria arma attraverso la quale le streghe puniscono le allieve che – a differenza di Susie – osano ribellarsi al proprio destino.

In alcune tra le sequenze più terribili (e belle) del film, prima Olga e in seguito Sara vengono giustiziate a distanza da una inconsapevole Susie.

Nel corso della prima lezione a cui partecipa Susie, i movimenti violenti dei suoi arti causano infatti strappi e lacerazioni nel corpo di Olga, che ha deciso di abbandonare la scuola: la ragazza viene scaraventata da una parte all’altra della stanza in cui si trova e piegata e spezzata come un pupazzo vittima di un maleficio. Il suo viso ne esce deformato, braccia e gambe spezzate.

Le sequenze della lunga scena della danza di Susie si intrecciano quindi con quelle dell’assassinio a distanza di Olga: inconsciamente, in balìa del volere delle streghe della congrega, Susie sevizia e uccide Olga tra atroci sofferenze. E Madame Blanc e le altre sembrano provare un piacere addirittura fisico durante la performance della ragazza.

La stessa cosa accade durante la messa in scena di “Volk”, la coreografia di Madame Blanc, ad opera delle allieve della scuola.

Ma stavolta a farne le spese è Sara.

Ballare “Volk” è pericoloso: un singolo movimento sbagliato può infortunare le ballerine, perché la loro danza è violentissima.

Susie balla assieme alle altre in una danza ipnotica, su un pavimento su cui – prima dello spettacolo – è stato tracciato un pentacolo celato all’interno di un disegno più complesso, e coi propri movimenti ferisce inconsapevolmente Sara, che viene addirittura inglobata nel pavimento della stanza in cui si trova.

Le streghe faranno ricomparire temporaneamente Sara perché termini il balletto assieme alle proprie compagne.

Un’altra scena di danza disturbante, precedente a quella di “Volk”, è quella in cui Susie sembra godere fisicamente (assieme alle streghe) degli effetti della propria danza, mentre sotto di lei, in una stanza di rami e ragnatele, si anima una vecchia strega dalle unghie lunghe ed affilate. Questa tocca il soffitto, cioè il pavimento dell’aula in cui sta danzando Susie, e sembra che tragga energia dall’allieva e che le restituisca qualcosa in cambio. Gli sguardi preoccupati di Madame Blanc e Miss Tanner e successivamente le loro parole ci riveleranno come si tratti di Helena Markos, che ha percepito la vitalità e l’essenza di Susie e da questo momento infatti vorrà la ragazza per sé.

La danza animalesca, primitiva, rituale, violentissima è protagonista infine dell’incredibile sabba che conduce verso l’inaspettato epilogo.

Una delle differenze più profonde tra i due “Suspiria” è che nel film di Dario Argento la protagonista scopre la verità, ne è terrorizzata e alla fine annienta le streghe, mentre nel lungometraggio di Luca Guadagnino Susie è ammaliata fin da subito dalla congrega e dal suo nuovo ruolo all’interno di essa e non si ribella, anzi ci conduce verso la rivelazione del clamoroso finale.

Nel “Suspiria” del 1977 la verità all’inizio possiamo solo immaginarla. Nel nuovo “Suspiria” è chiaro fin da subito cosa accada nella scuola e chi siano le streghe. E le streghe di Luca Guadagnino e dello sceneggiatore David Kajganich (quello della serie tv “The Terror”) non sono solo spietate e negative: a tratti ci affascinano e ci ritroviamo a parteggiare per alcune di loro.

L’elemento stregonesco nel film di Guadagnino di conseguenza è forte e composito.

Il clima di sorellanza si respira chiaramente nelle sequenze del bistrot francese in cui le insegnanti della scuola ogni tanto si rifugiano per cenare, bere e mescolarsi ai comuni mortali; per fingere di essere come loro, anche e soprattutto agli occhi delle allieve, che le spiano da dietro le vetrine del locale.

Gli sguardi, le carezze, i canti tra le sorelle streghe hanno il proprio culmine nella già analizzata tensione sessuale che scorre tra Madame Blanc e Susie lungo tutto il film, ma che si può simbolicamente riassumere nella sequenza dell’ammaliante gioco di sguardi tra allieva e maestra quando queste si fronteggiano agli estremi di un lungo tavolo del bistrot: un’immagine che – tra l’altro – testimonia come tra le due si sia ormai raggiunta una sorta di parità.

Una sequenza che mi è piaciuta particolarmente e che sintetizza la complicità femminile della congrega è quella mattiniera del risveglio delle streghe nella scuola di danza, con la grande cucina in cui Madame Blanc, Miss Tanner e le altre si incrociano preparando la colazione, ascoltando la radio e commentando le notizie relative agli attentati della RAF, chiacchierando e discutendo della votazione avvenuta la sera prima e della nuova ragazza che dovranno preparare per il rito mirato a restituire l’energia a Helena Markos.

Le streghe sono capaci di amore e sorellanza, ma possono essere estremamente crudeli e spietate con gli esterni alla congrega e con chi osi denunciarle e metterle in pericolo. E nonostante il film di Guadagnino sia in generale lento, pacato e descrittivo, il regista in questo senso ci regala più di una sequenza terrificante.

A parte la già considerata violenza insita nella danza di Susie, usata come un’arma per seviziare prima Olga e poi Sara, e protagonista di alcuni dei momenti più memorabili del lungometraggio, un’altra sequenza che rimane impressa è quella in cui le streghe devono liberarsi del corpo martoriato e deformato di Olga e pensano bene di conficcarvi i propri grandi uncini, per trascinarlo via come quello di una bestia da macello.

Agghiacciante è anche il momento in cui Susie scopre le insegnanti/streghe prendersi gioco dei poliziotti mandati dallo psicoterapeuta Klemperer ad indagare su ciò che avviene nella scuola: i due uomini vengono ipnotizzati, denudati e derisi dalle streghe, che punzecchiano i loro organi sessuali con i soliti terrificanti falcetti/uncini. Il particolare disturbante di queste sequenze però è anche ciò che proviamo noi spettatori (o perlomeno noi donne): nonostante le scene violente e crudeli, a volte ci ritroviamo per qualche istante dalla parte delle streghe. I poliziotti che entrano nella scuola infatti sembrano invadere un mondo femminile equilibrato, pacato, che basta a se stesso e che nulla chiede all’esterno.

Lo stesso Klemperer, scelto dalle streghe come ignaro “testimone” del rituale che dovrà aver luogo (perché si è immischiato negli affari della scuola e della congrega e in quanto chiamato in causa da Patricia), si rivela una facile preda per via del suo passato e del suo senso di colpa nei confronti dell’adorata moglie scomparsa trent’anni prima, accennato all’inizio dell’articolo: per attirarlo alle porte della scuola di danza per il sabba finale, le streghe arriveranno ad ingannarlo col miraggio di una Anke viva e vegeta e tornata a Berlino per ricongiungersi con lui. Ma – una volta giunti di fronte alla scuola – Anke scomparirà e al suo posto apparirà una strega urlante, che catturerà Klemperer e lo trascinerà all’interno, fino alle zone segrete dell’edificio.

La scena del sabba finale è lunga più di dieci minuti e semplicemente terrificante e piena di colpi di scena: in poche parole, da guardare tutta d’un fiato.

Mettono semplicemente i brividi i corpi ricoperti dalle vesti fatte di capelli; i suoni, i gemiti, le urla e i sospiri; i canti, gli inni e i movimenti delle streghe; il rosso del sangue, delle viscere e della veste di Madame Blanc; l’agghiacciante mostruosità di Helena Markos e il corpo di Klemperer, disperato nella sua nudità.

La danza ordinata dei corpi è un’altra, ennesima coreografia di streghe e di violenza allo stato puro.

Mi fa ridere chi ha affermato che nel film di Guadagnino l’horror non ci sia, perché a far venire letteralmente la pelle d’oca bastano il volto e la voce maschile della vecchia strega dai lunghi capelli grigi che intona la litania che dà inizio al sabba.

Ciò che sicuramente accomuna il film del 1977 di Dario Argento a quello del 2018 di Luca Guadagnino è la colonna sonora eccezionale.

Ogni volta che vedo live Claudio Simonetti e i Goblin, riascoltare i brani del vecchio “Suspiria” (come quelli degli altri film di Dario Argento) è un vero piacere.

Allo stesso modo, trovo che Thom Yorke dei Radiohead nel nuovo “Suspiria” abbia fatto un grande lavoro, sia con i suggestivi brani strumentali, che con quelli cantati come Suspirium, Open again, Unmade e Has ended, tutti adattissimi alle varie sequenze più o meno movimentate.

Il brano simbolo del “Suspiria” di Guadagnino resta comunque Suspirium, che apre e chiude il film, per il quale Yorke si è già meritatamente guadagnato il Soundtrack Stars Award per il miglior brano originale del 2018.

Per le riprese e la fotografia, ma anche per il grigiore della Germania descritta, in questo film Luca Guadagnino è stato paragonato a Rainer Werner Fassbinder, anche se non si possono non notare i richiami all’horror giappo-koreano di film come “Ringu” o “Dark water”.

Il film si snoda per lo più lento e riflessivo, descrivendo scorci di Berlino o paesaggi dell’Ohio ed esplorando l’animo dei protagonisti ed i loro segreti, ma ogni tanto – all’improvviso – una sequenza cruenta, veloce e disturbante ci assale e stempera la tensione accumulata nei lunghi momenti pacati.

Colpiscono e rimangono impressi soprattutto i primi piani, le inquadrature degli sguardi e dei gesti, l’ottima fotografia, l’utilizzo del grandangolo, dei colori e della musica.

Lo stesso inizio del film di Guadagnino è di per sé un piccolo capolavoro, grazie all’alternanza tra le sequenze della Germania del 1977 e le inquadrature della casa della famiglia mennonita di Susie.

Come già accennato, il film si apre su Patricia e il dottor Klemperer. La sigla però parte solo al settimo minuto, con la meravigliosa Suspirium, mentre si susseguono alcune immagini della famiglia di Susie nell’Ohio.

Le inquadrature degli ambienti della casa fanno subito intuire come si tratti dell’abitazione di una famiglia molto religiosa, che vive in campagna, lontana dalla civiltà e dall’elettricità: abiti, grembiuli, cuffie, cappelli sono privi di ornamenti, antiquati, inamidati. Se all’interno della semplice abitazione la cinepresa si sofferma sulla macchina da cucire e su altri spartani oggetti, all’esterno il lavoro nei campi continua inarrestabile. Infine, le inquadrature dell’infaticabile opera delle giovani donne che accudiscono e lavano una donna rantolante si alternano a quelle delle mani degli altri familiari che pregano, seduti composti, forse attendendo la sua morte.

L’accuratezza di queste sequenze, accompagnate dalla splendida melodia di Yorke, fa sorgere da subito una serie di interrogativi nello spettatore, che troverà una spiegazione solo in quello che accadrà dopo, negli incubi e nei ricordi di Susie e nel finale del film: il rantolo della donna morente nell’Ohio (la madre di Susie, come comprenderemo ad un certo punto della vicenda, interpretata dalla bellissima Małgorzata Bela) ha forse qualcosa a che fare con Mater Suspiriorum? Questa donna è la Madre? O è perlomeno in relazione con lei?

Qual è il vero significato del quadretto ricamato che inaugura le prime sequenze all’interno dell’abitazione mennonita, nonché la sigla del film, e che recita (in inglese) “Una madre è una donna che può prendere il posto di chiunque, un posto che nessun altro può prendere”?

Impossibile non pensare all’ambiguità di queste prime immagini, considerato il finale del film e le parole che la donna pronuncia sul letto di morte, mentre il sacerdote le dà l’estrema unzione e le chiede di confessare i propri peccati: -“Mia figlia… la mia ultima… lei è il mio peccato… è colei che ha imbrattato il mondo”.

Guadagnino ci riserva una sorpresa con lo stesso titolo del film, che appare solo al termine dei titoli d’inizio in uno dei pannelli luminosi della stazione della metropolitana, nella sequenza in cui facciamo la conoscenza di Susie, quando questa arriva a Berlino.

I sogni di Susie testimoniano un’altra peculiarità dello stile di Guadagnino: fotogrammi di scene di piacere e violenza, realtà e ricordi, uncini, specchi rotti, lombrichi, punizioni, organi e così via si succedono come in un videoclip.

Spesso nei sogni di Susie compaiono immagini di più mani al posto di una sola, anche di bambini o bambole, che durante il sabba ritroveremo sull’orrido corpo nudo di Helena Markos.

Alle immagini cruente “inviate” nei sogni di Susie da Madame Blanc e dal resto della congrega, si sovrappongono i ricordi delle punizioni che da bambina Susie ha subito per mano della madre, in quanto si ribellava alla vita severa e modesta della comunità mennonita.

Per quanto riguarda i colori utilizzati, il “Suspiria” di Guadagnino è un film grigio e marrone.

Il sontuoso ed elegante rosso della scuola di danza di Argento, nel film di Guadagnino è sostituito da un severo grigio. Al posto della boscosa e misteriosa Friburgo c’è Berlino, imponente, cupa e grigia.

Mentre la scuola di Argento sembra quasi un castello ed è arricchita da vetrate e porte decorate e da opere di M.C. Escher e Aubrey Beardsley, l’edificio berlinese della Tanzschule è lineare e tetro ed è stato significativamente posizionato proprio di fronte ad un tratto del Muro.

Il rosso nel film di Guadagnino si manifesta all’improvviso soprattutto nei costumi di “Volk” (le corde rosse intrecciate sembrano rivoli di sangue) e nelle scarpe coi tacchi indossate da Madame Blanc in occasione dello spettacolo. Otre che nelle sanguinose scene del sabba finale, ovviamente, in cui scopriamo la vera identità di Susie e assistiamo alla sua vendetta, accompagnata dalle note di un altro bellissimo brano di Yorke, Unmade.

Il film di Guadagnino è dedicato alle donne: ne è protagonista la donna vista nella sua totalità, di conseguenza anche nel suo lato più malvagio.

E’ significativo come la scuola del film di Guadagnino sia tutta al femminile, a differenza di quella di Argento: nel nuovo “Suspiria” i maschi non studiano nella scuola, né ci lavorano, ma entrano nell’edificio eccezionalmente, per assistere alla messa in scena di “Volk”, o per violentare il delicato equilibrio femminile, come i due poliziotti mandati ad indagare dopo la segnalazione di Klemperer, o come lo stesso dottore, catturato con l’inganno allo scopo di farne un testimone del rito finale.

Guadagnino ama le donne, ma soprattutto la sua amica e musa, Tilda Swinton, che in questo film interpreta addirittura tre personaggi: oltre a Madame Blanc, è lei infatti anche il misterioso Lutz Ebersdorf che sta dietro al dottor Klemperer e a Helena Markos.

Solitamente smaschero subito i trucchetti di questo tipo, ma devo ammettere che stavolta ci sono cascata in pieno e – durante il film – non ho mai pensato che dietro all’anziano psicoterapeuta ci potesse essere una donna… figurarsi proprio Tilda Swinton!

Non mi sono soffermata volutamente sul sabba e sulle sequenze finali del film per non spoilerare proprio tutto e perché credo siano semplicemente da gustare tutti d’un fiato.

Concludo però con un consiglio: continuate a guardare il film anche dopo i titoli di coda.

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